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  • Immagine del redattoreStefano Anzuinelli

SUPPORTIAMO I GIOVANI NEET PRIMA CHE LO DIVENTINO

Il mondo ha ingranato la quinta marcia e non accenna a rallentare, ha accelerato il suo ritmo a un livello così vertiginoso che stare al passo non è sempre facile. I giovani nati a cavallo del nuovo millennio, la Generazione Z, hanno vissuto tutte le fasi della digitalizzazione crescente di molti aspetti della vita - la tecnologia è complice dell’accelerazione della nostra esistenza - e questo li ha resi passeggeri privilegiati della corsa all’educazione e al lavoro. Eppure non tutti riescono a restare a bordo.


La vita negli anni 2000 è diventata po’ come una maratona: chi è allenato, tiene il passo con il gruppo di testa, chi rallenta rischia di rimanere indietro. È in questo gruppetto di coda che si inserisce il fenomeno dei Neet, ragazzi tra i 15 e i 29 anni che sono Not in education, employment or training, cioè che non sono impegnati in un percorso di studi né occupati in un lavoro. Che hanno messo in pausa la loro vita.



Sono spesso giudicati, protagonisti di vecchi stereotipi che non prendono in considerazione di approfondire il perché vivono questa condizione. Sono chiamati bamboccioni o choosy e tacciati con semplicismo di non avere voglia di lavorare.


La realtà è che molto spesso sono ragazzi abbandonati dalla scuola, che non li supporta nei momenti di difficoltà; ragazzi e ragazze che hanno cercato lavoro senza successo, con delusioni tali da spingerli in una spirale negativa, con una profonda vergogna a far loro da triste compagna. Se intervistati descrivono la loro situazione come la vita in una buia grotta da cui non trovano la via d’uscita.


L’Italia ha il primato negativo


Purtroppo l’Italia non brilla in questo contesto: da una ricerca Eurostat di aprile dello scorso anno emerge come la media europea di Neet sia del 13,1%. Il paese con il più basso numero di Neet è l'Olanda (5,1%); l'Italia il più alto (23,1%), con una maggiore concentrazioni nel Sud (si parla di 37,5% in Sicilia contro il 17,4 in Lombardia e il 13,5 in Trentino).


Proviamo ad analizzare le cause. Quando i ragazzi si perdono? Quando devono fare una scelta, ma non hanno ricevuto gli strumenti per compierla. Ci sono milioni di adulti che non sanno ancora a 50 anni cosa vogliono fare da grandi, quindi perché un giovane ragazzo/a dovrebbe avere le idee chiare? Serve loro una guida. Prendo in prestito le parole degli illustri Prof. Alessandro Rosini e Prof. Francesco Pastore: “Ci sono delle inefficienze strutturali nella transizione dal processo educativo/scolastico al mondo del lavoro a causa della mancanza dell'acquisizione di competenze e mentalità adeguate poiché il modello educativo secondario e terziario fornisce competenze teoriche astratte”.



È fragile - e ad alto tasso di aspettative - il passaggio dal ruolo di studenti a quello di lavoratori, con un gap pari a quello tra pianura e montagna. E, inoltre, è poca la comunicazione che c’è tra formazione, aziende e centri per l’impiego: ognuno parla una lingua propria, ma ai giovani è richiesto di saperle tutte e di colmare divari che non dovrebbero esistere.

I ragazzi non sono pronti a ciò che il mondo del lavoro chiede e, qualcuno, rimane bloccato nel limbo che c’è tra la richiesta di sempre nuove competenze e l’impossibilità di applicare quelle già acquisite.

Cosa può fare la scuola?

La scuola può fare davvero tanto per preparare i giovani e agguantarli prima ancora che cadano in quella caverna labirintica dalla quale è poi difficile uscire. Servono docenti formati alla gentilezza, all'empatia, all'incoraggiamento e alla sensibilità. E devono essere banditi atteggiamenti vessatori e iper-selettivi che allontanano i giovani dalla scuola e dal piacere dell'apprendimento.


I ragazzi hanno bisogno di tanti momenti di orientamento nelle scuole superiori, con tutor che li guidino a scoprire le loro passioni, le quali si tramuteranno in un percorso di approfondimento universitario. Scelto non chiudendo gli occhi al grido del diabolico “tanto uno vale l’altro”, quanto con il fine di apprendere degli strumenti che potranno trasformare il sogno in un lavoro.

Nei paesi in cui vengono adottate politiche e scelte educative evolute e montessoriane come Irlanda (1 scuola su 12.000 abitanti), Svezia (1 scuola su 58.000 abitanti), USA (1 scuola su 68.000 abitanti), Germania (1 scuola su 71.000 abitanti), Olanda (1 scuola su 76.000 abitanti), UK (1 scuola su 78.000 abitanti) i benefici sono evidenti in termini di basse percentuali di NEET.


Tra l’altro ecco un bel paradosso: i sistemi educativi evoluti italiani (Montessori, Reggio Emilia Approach, Sorelle Agazzi) sono più popolari e apprezzati all'estero che in Italia dove solo 1 scuola su 444.000 abitanti applica questi metodi.


Quindi la scuola e l'approccio educativo sono essenziali per la riduzione delle percentuali di Neet.


I Neet non sono irrecuperabili


Nessuno viene lasciato indietro. Spesso si tende a dimenticare chi non corre la maratona al ritmo del gruppo di testa, le telecamere non li trovano interessanti. Ma anche loro possono arrivare al traguardo.


Bisogna superare le resistenze che hanno verso le delusioni e a qualsiasi attività, riattivare il meccanismo che è alla base della voglia di imparare, di ritrovare un proprio ruolo in un gruppo. Bisogna riattivare le passioni. E allenare i ragazzi gradatamente al mondo del lavoro. Dobbiamo riabituarli a correre, non per arrivare primi, ognuno al proprio ritmo, verso i loro sogni e le loro passioni.


Dr. Stefano Anzuinelli

Licei Paritari Isaac Newton™

Founder & CEO

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