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  • Immagine del redattoreStefano Anzuinelli

“L’APPELLO”, L’ULTIMO ROMANZO DI ALESSANDRO D’AVENIA


Alessandro D’Avenia è uno dei professori e scrittori più amati e apprezzati dai giovani studenti e dai loro genitori. Notissimi sono i suoi romanzi, per lo più di formazione e con al centro le vite degli adolescenti, da “Rossa come il sangue, bianca come il latte”, dal quale nel 2013 è stato tratto l’omonimo film, a “L’appello” uscito per Mondadori lo scorso anno. Altrettanto famosa è la sua rubrica settimanale “Ultimo Banco” sul Corriere della Sera, un incitamento settimanale a vivere la quotidianità con entusiasmo e razionale ottimismo.


“L’Appello” è un bildungsroman, un romanzo "di formazione", è coinvolgente fin dal primo capitolo e ci cala totalmente nella quotidianità scolastica, mostrandola da ogni prospettiva e dal punto di vista più profondo di ogni protagonista.


Omero Romeo, il nuovo professore di scienze, sta per affrontare la classe più complessa della scuola, è un supplente, è cieco da qualche anno e decide di ritornare a insegnare. Istituisce quindi un appello quotidiano per conoscere i suoi alunni, per cercare di entrare nelle loro vite, un pretesto per entrare in sintonia con loro.

La lezione di scienze presto diventa un percorso tra gli astri per comprendere l’animo profondo degli studenti attraverso le loro storie quotidiane, semplici e immediate. L’appello è una scusa, per far emergere le fragilità di chi si cela dietro a una maschera, invisibile agli occhi del professore. Ma per conoscere le persone esistono altri sensi: udito, olfatto, tatto e, soprattutto, il cuore che permette di riuscire a vedere nell’intimo.


Un libro deve cercare di far vibrare le corde del cuore del lettore, regalare emozioni. Alessandro D’Avenia ci riesce con un lessico e metafore che segnano in profondità e si radicano in noi. I suoi libri riescono a dialogare con tutti perché le storie sono comuni a tutti. Non pontifica e non fa lezioni, ma ci mostra una via diversa. “L’Appello” mette a nudo una scuola che, persa nella grigia burocrazia, ha dimenticato il suo vero compito ed è un monito contro chi ha dimenticato cosa sia l’adolescenza e avere paura del futuro.


D’Avenia conosce molto bene l'animo umano e l’appello è un modo per comunicare, raccontare, ascoltare, conoscere i segreti che nessuno era mai riuscito a far emergere. La cecità è uno strumento di liberazione dai pregiudizi per comprendere il senso della vita per trasferirlo agli altri, uno scambio di energia poiché “ciascuno è maestro e discepolo al tempo stesso, come in una vera relazione”, senza venir meno alla specificità dei propri ruoli.


Molti problemi degli studenti si nascondono all’interno delle loro famiglie dove gli adolescenti iniziano a costruire la propria identità, a definire il proprio carattere e il proprio rapporto col reale. E in quel contesto si generano talvolta disagi profondi in quanto la qualità della relazione tra i genitori diventa la vita interiore di un ragazzo che proietta sulla propria realtà l’amore (o l’odio) che i genitori si sono scambiati, la speranza o il cinismo che il loro amore ha creato, i progetti, le promesse, le cadute e le macerie che la loro relazione ha prodotto negli anni.

Attraverso il protagonista, D’Avenia ci indica la strada per riflettere profondamente sul mondo della scuola, che non è ammaestramento o insegnamento [dal latino insĭgnare, «imprimere segni (nella mente)], ma per educare, far crescere, far maturare.


Gli studenti del romanzo elaborano un decalogo, un’idea precisa di scuola, di vita un nuovo umanesimo, che pone al centro le persone, non le teorie o i saperi, senza voler affatto mettere da parte questi ultimi, ma rendendoli parte integrante di un processo per la formazione globale del soggetto.


Quello di D’Avenia è un testo che va discusso, non semplicemente letto, diviene un manifesto politico, idealistico, della scuola del futuro dove ognuno è chiamato a dire la sua.


Scritto in uno stile fluido e immediato, il romanzo arriva al cuore, accende in noi la speranza che non tutto è perduto per genitori e figli! “L’appello” è un romanzo che parla della scuola, degli adolescenti, della formazione e dell’apprendimento e cerca di scuotere un’istituzione in cui i desideri, i sogni, le difficoltà degli studenti non vengono ascoltati e compresi: solamente tramite la capacità di dialogare si impara a vedere oltre le nostre convinzioni che, talvolta, annebbiano la nostra vista.


“In questi anni sono loro che mi hanno costretto, a volte in modo doloroso, a guardare dove io non sapevo o non volevo guardare, perché avevo le mie idee, le mie convinzioni, le mie ipocrisie.”


“I volti sono come mappe, contengono tutta la geografia dell’anima, luoghi a cui occorre dare un nome e una storia.”

“A che serve imparare se poi non riusciamo a cambiare niente, neanche noi stessi?”


“Se solo ci prendessimo il tempo di ascoltarle, queste vite, chissà quante se ne salverebbero.”

Basta una persona capace di fare una cosa buona, anche invisibile, per ridare coraggio a qualcuno che muore di paura.”


“Chi crede che la propria vita e quella dei suoi simili sia priva di significato è non soltanto infelice, ma appena capace di vivere.”


“Sprechiamo la maggior parte del nostro tempo e delle nostre energie a nasconderci, ma sotto sotto vogliamo venire alla luce. Siamo fatti per nascere, non certo per morire.”

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