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Immagine del redattoreStefano Anzuinelli

Un anno di pandemia: il disagio dei nostri adolescenti tra scuola e famiglia



Per oltre 2 milioni e 800mila adolescenti italiani la scuola non è semplicemente apprendimento, quanto occasione unica di sperimentazione di relazioni, di condivisione di emozioni, di scoperta di se stessi. La scuola è un luogo di socialità che dà agli adolescenti la possibilità di incontrarsi, di raccontare e di mediare tra il proprio pensiero interiore e la realtà.

Gli insegnanti diventano “ammortizzatori” con una precisa funzione: smorzare i tipici fenomeni oscillatori dei pensieri di questa età, poiché un adolescente spesso non parla con i genitori, ormai insufficienti ad assumere il ruolo di ascolto che è stato prerogativa dell’infanzia. L’adolescente “abbandona la casa” e cerca di sperimentare la separazione dai genitori, per conquistare la propria autonomia e affacciarsi all’età adulta.

In questo lunghissimo periodo d’emergenza, (voglio ricordare che dal 21 febbraio 2020 ad oggi i liceali lombardi hanno trascorso solamente un mese e nove giorni a scuola), non avere un confronto reale con i coetanei porta i ragazzi a non mediare le loro spinte e i loro istinti, vivendo quotidianamente in una dimensione di noia esistenziale che rafforza pensieri e circoli viziosi e facilita l’umore depresso.

Le regole stringenti del lockdown generano aggressività, impazienza, intolleranza sia verso i familiari che verso se stessi. Qualcuno supera addirittura la soglia dell'autolesionismo, altri si isolano restando chiusi nella propria stanza. Varie analisi registrano, inoltre, un aumento dei comportamenti aggressivi, oppositivi e trasgressivi.

Noi educatori, sempre più counselor sia per gli studenti che per i loro genitori, ci stiamo domandando cosa fare ora e in futuro, perché sarà impegnativo convincere i ragazzi a uscire di nuovo di casa.

Ma quali sono i fattori specifici della crescita del disagio adolescenziale?

Certamente le restrizioni nell’interazione con i coetanei, la mancanza di spazi di libertà e di pratiche in cui misurarsi con il mondo esterno. Non dimentichiamo inoltre il clima familiare, in molti casi più teso da marzo 2020 in poi, in quanto i genitori di molti adolescenti vivono situazioni di difficoltà sia lavorativa che domestica, in condizione di convivenza forzata e impegni sovrapposti in abitazioni non sempre adeguate.

Tuttavia, da educatori, ci consola e ci incoraggia la notizia che la maggioranza degli adolescenti durante il blocco d’emergenza ha seguito le regole e agito in modo responsabile. Infatti, i dati dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo affermano che oltre il 90% di essi concorda con le norme di contenimento della diffusione del virus.

Ma allora se va tutto bene, perché questa attenzione morbosa dei media sulle risse tra adolescenti, gli atti di violenza e autolesionismo con protagonisti i membri della Generazione Z?

E’ notorio come nella narrativa prevalente i ragazzi facciano notizia solo quando creano caos, disturbano o esprimono un protagonismo negativo e vanno bene solo quando rimangono fermi, in silenzio e si conformano alle aspettative del mondo degli adulti. Ma è inutile ricordare che un tale atteggiamento è almeno vecchio quanto la postfazione di Fernanda Pivano a “On The Road” di Jack Kerouac del 1959, la quale, già allora, riportava gli eccessi di quella gioventù che veniva etichettata persa e bruciata.

Il difficile ruolo degli adulti

Ma noi adulti cosa abbiamo fatto per loro e con loro? Ben poco ovviamente. Sotto la punta dell’iceberg delle risse e dei comportamenti devianti, tutto sommato molto limitati, covano disagio, insofferenza e incertezza per il futuro. E’ questo il rischio più grande del nostro Paese, ovvero la sottovalutazione dell’espansione di questa parte sommersa della realtà che preferiamo non vedere.

E’ necessario un approccio più organico, olistico nel quale anche, e soprattutto noi genitori abbiamo un’enorme responsabilità: garantire innanzitutto l’affetto. I nostri figli in questo momento hanno un grandissimo bisogno di noi. E se non ce la facciamo, non dobbiamo avere paura a chiedere aiuto. Fare i genitori non è mai stato facile e oggi è ancora più complesso. Chiedere aiuto non è una vergogna.

Attraverso il “Next generation EU”, il massiccio piano di investimenti da 750 miliardi di euro che contiene nel proprio nome proprio il principio di gioventù, generazione Z, giovinezza, quasi come auspicio, dobbiamo ripensare, reimpostare, progettare il nostro futuro dando alle nuove generazioni le leve che consentano loro di diventare protagonisti effettivi di questo colossale progetto. Dobbiamo coinvolgerli appieno, ascoltare le loro esigenze, amare la loro energia e vitalità perché non siano considerati un fastidioso inciampo quanto un propulsore unico e irripetibile che riesca a imprimere al nostro paese un nuovo slancio e un nuovo stimolo.


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